Identità con un milione di miliardi
di sinapsi e protocaderine
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 17 ottobre
2020.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Siamo ancora lontani dal definire
codici biologici che ci possano consentire di esprimere scientificamente la
base cerebrale dell’identità di una persona, ma nuove conoscenze ci aiutano
nell’intraprendere un cammino sinaptico e molecolare che conduce alla
comprensione dei fattori che rendono ciascun cervello unico e irripetibile come
ciascun individuo.
Se l’identità concepita e
definita in termini neuropsicologici attiene sostanzialmente al nucleo personale
della memoria autobiografica, come drammaticamente si riscontra nelle
gravi amnesie da lesione cerebrale, la capacità del cervello di elaborare in modo
distinto l’informazione che riguarda il sé da quella che riguarda il non-sé
è capillarmente diffusa nei circuiti neuronici e permane efficiente anche in
chi non ricorda più chi sia, in quanto indipendente dalla funzione mentale
astratta e specializzata mediante la quale nella coscienza di un
soggetto avviene il riconoscimento di sé stesso. Il cervello, dunque, si
riconosce in più modi e a più livelli, a cominciare dall’elementare riconoscimento
molecolare da parte delle cellule che compongono i tessuti dell’encefalo, basato
sul sito maggiore di istocompatibilità (MHC) che contiene i geni dell’HLA.
Se nello studio della base del senso
cosciente di identità personale si può ragionevolmente restringere l’interesse
alle aree e alle reti cerebrali che direttamente partecipano ai processi
cognitivi espliciti, la comprensione della neurobiologia dell’identità
cerebrale allo stato attuale delle conoscenze non può escludere alcun sistema
neuronico. Né si può escludere che alla determinazione dell’identità psichica
partecipino processi elementari di livello neuronico e sinaptico che, quale
parte di una complessa organizzazione strutturata per livelli funzionali fra
loro integrati, possono fornire un supporto indispensabile alle sintesi mentali[1].
Ricordiamo qualche dato quantitativo
per aver presente il rapporto fra cervello e singole unità neuroniche e sinaptiche:
il cervello umano contiene in media almeno 1011 cellule nervose,
ciascuna delle quali forma dalle 1000 alle 10000 sinapsi, per un totale di 1014
- 1015 giunzioni totali. Un paragone di Eric Kandel, che ricorda il Più
grande del cielo di Edelman[2], accosta il numero astronomico di stelle della nostra galassia a quello
delle strutture di segnalazione fra neuroni: le sinapsi del nostro cervello
sono mille volte più numerose delle stelle della Via Lattea[3].
Dunque, più di un trilione[4] di connessioni sinaptiche con alto grado di specificità opera nel cervello
adulto e, nei primi anni di vita, ogni secondo che passa si forma oltre un
milione di nuove e specifiche sinapsi, intervenendo con una rimodulazione
dinamica in questo stupefacente fenomeno di assemblaggio fra innumerevoli circuiti
neuronici. Un problema di difficile soluzione, considerata la specificità
rilevata dal livello molecolare e cellulare fino al livello di popolazione,
rete e territorio cerebrale, è come possa realizzarsi il riconoscimento
necessario all’assemblaggio con i giusti collegamenti, anche a fronte di
processi di competizione sinaptica.
Si è supposto da tempo che un
prerequisito indispensabile a una struttura cellulare presinaptica e postsinaptica,
per partecipare alla competizione che decreterà la sua eliminazione o la sua integrazione
in una nuova giunzione neurotrasmissiva, deve essere il possesso di un
contrassegno di riconoscimento definito sulla base di un codice molecolare. La
ricerca condotta in questo campo ha indirizzato verso contrassegni
molecolari specifici di superficie cellulare (“tag”) che forniscono ad ogni
neurone un codice unico di identità che consenta alla cellula nervosa di
discriminare il sé dal non-sé.
Qiang Wu e Zhilian Jia, per approfondire
la comprensione dei meccanismi di specificità connessionale basati sull’identità
neuronica, hanno realizzato una rassegna analitica degli studi sui geni delle protocaderine
(Pcdh), proponendo una sintesi di notevole interesse.
(Qiang Wu & Zhilian Jia, Wiring the Brain by Clustered
Protocadherin Neural Codes. Neuroscience
Bulletin – Epub ahead of print doi: 10.1007/s12264-020-00578-4, 2020)
La provenienza degli autori è la seguente:
Center for Comparative Biomedicine, Ministry of Education Key Lab of Systems Biomedicine,
State Key Laboratory of Oncogenes and Related Genes, Joint International
Research Laboratory of Metabolic and Developmental Sciences, Institute of
Systems Biomedicine, Xinhua Hospital, School of Life Sciences and Biotechnology,
Shanghai Jiao Tong University, Shanghai (Cina).
Fin dallo sviluppo embrionale del
sistema nervoso sono necessari contrassegni di identità o tag molecolari
che forniscono ad ogni cellula nervosa un codice che consente il riconoscimento
necessario per le sue specifiche connessioni[5]. Non è dunque sufficiente, come si credeva mezzo secolo fa, che ciascun neurone
presenti i tratti della polarizzazione che consentono di riconoscere i
terminali assonici quali strutture presinaptiche e le spine dendritiche e tutte
le altre parti fungenti da riceventi quali strutture postsinaptiche. La
specificità di luogo e ruolo non è solo un evento dell’embriogenesi e un dato
di espressione genica dell’apparato proteico che abilita a sintesi e rilascio
di un neurotrasmettitore eccitatorio o inibitorio, ma una questione di identità
molecolare di ciascun elemento cellulare. La ricerca in questo campo ha
sicuramente un grande debito di riconoscenza nei confronti di Gerald Edelman,
che è stato tra i primi a gettare un ponte fra le conoscenze immunologiche che
hanno chiarito le basi del riconoscimento molecolare in biologia[6] e la comprensione neurobiologica dei processi che adoperano molecole di
adesione cellulare. I progressi compiuti negli anni recenti hanno indirizzato l’attenzione
dei ricercatori verso le protocaderine, il più grande sottogruppo della superfamiglia
di proteine omofiliche di adesione cellulare dette caderine.
Le protocaderine (Pcdh, da protocadherin)
furono scoperte da Shintaro Suzuki e colleghi in uno studio che cercava
mediante la PCR nuovi membri della famiglia delle caderine. I ricercatori
trovarono frammenti PCR corrispondenti alle protocaderine sia in specie vertebrate
che negli invertebrati, deducendone un’antichissima origine filogenetica quali
polipeptidi precursori delle moderne caderine presenti solo nelle specie più
evolute: per tale ragione adottarono il prefisso “proto” per denominarle. Dei
circa 70 geni delle Pcdh identificati nel genoma dei mammiferi, oltre 50 sono
allocati in blocchi di geni strettamente associati sullo stesso cromosoma. Si è
ritenuto che questa organizzazione fosse tipica dei vertebrati fino all’agosto
del 2015, quando è stato pubblicato uno studio che riportava in una specie di
polpo, Octopus bimaculoides, dei geni organizzati in blocchi a tandem come
nei mammiferi[7].
Nei mammiferi sono stati descritti
due tipi geni delle Pcdh, quelli diffusi all’interno del genoma e quelli
raggruppati in tre blocchi di geni definiti α, β e γ che, nel topo,
includono 14, 22 e 22 geni rispettivamente. Tali cluster di geni sono
prevalentemente espressi nel sistema nervoso durante lo sviluppo embriogenetico
e, poiché vari sottoinsiemi di tali geni sono espressi in maniera differenziata
nei vari neuroni, la combinazione differenziale di espressione genera una
straordinaria varietà di profili di protocaderine sulla superficie dei neuroni.
Da questo dato ha avuto origine l’ipotesi che le Pcdh forniscano un codice di
indirizzo sinaptico per la connettività neuronica o un “codice a barre per
singola cellula” per il riconoscimento del sé e l’evitamento del sé simile a
quello ascritto alle DSCAM degli invertebrati.
Rimandando alle trattazioni
specialistiche per gli innumerevoli ruoli delle Pcdh basati sulle interazioni
omofiliche e la segnalazione intracellulare, ricordiamo che, per la loro
partecipazione a numerosi processi nello sviluppo del sistema nervoso centrale,
sono state studiate in relazione alle sindromi di Down, di Rett e dell’X-fragile,
in rapporto alle malattie neurodegenerative e alle psicosi schizofreniche.
Qiang Wu e Zhilian Jia, sulla base
degli studi condotti in precedenza, sposano la teoria del ruolo di codice di
identità svolto dalle Pcdh e forniscono con questa accurata e ragionata
rassegna prove sufficienti a sostegno di questa tesi. In particolare,
evidenziano come i geni delle protocaderine associate in cluster codifichino
una tale varietà di proteine e contribuiscano ad una così grande variazione
cellulare individuale sulla superficie di membrana che sarebbe difficile
immaginare un fine diverso da quello del tag identitario.
Nell’articolo si descrive in
dettaglio l’evoluzione adattativa, la struttura genomica e, particolarmente, la
regolazione dell’espressione genica delle Pcdh associate in cluster. Ma
soprattutto si consiglia di leggere con attenzione la parte dedicata agli studi
sull’architettonica molecolare in 3-D e agli specifici meccanismi biofisici
direttamente responsabili della genesi dell’enorme numero di differenti Pcdh della
superficie cellulare che sembrano agire da codici neuronici nel cervello.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-17 ottobre 2020
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] È una tesi sostenuta dal nostro
presidente, Giuseppe Perrella, e compatibile con molte acquisizioni
neurobiologiche recenti. È ragionevole supporre che l’insieme dei neuroni
organizzati in sistemi, intrinsecamente dotati della fisiologica capacità di
distinzione del self dal not-self, contribuisca con la propria
attività ad un “effetto massa” capace di incidere quantitativamente sulla
sensazione psichica percepita da ciascuno come senso di sé. La riduzione per
cause diverse e disparate di questo “tono neurobiologico di fondo” dell’identità
può spiegare alcuni tratti della sintomatologia depressiva.
[2] Gerald M. Edelman, Più grande
del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza. Einaudi,
Torino 2004.
[3] Kandel E. R., Schwartz J. H., Jessell T. M., Siegelbaum S. A.,
Hudspeth A. J., Principles of Neural Science, p. 175, McGraw Hill Medical,
2013.
[4]
In neurobiologia, e nelle
neuroscienze in generale, si adotta l’attuale valore internazionale di trillion
corrispondente a mille miliardi (1012), secondo l’uso tradizionale
francese e americano. Nella vecchia convenzione internazionale e nella
tradizione scolastica italiana il trilione equivale a un milione di
bilioni (1018), dove il bilione non è un miliardo ma mille miliardi.
[5] Questa nozione della
neurobiologia cellulare e molecolare contemporanea sarebbe piaciuta molto al
Premio Nobel Roger Sperry, che seguì in tutto il suo lavoro di ricerca la tesi
secondo cui il sistema nervoso era macroscopicamente organizzato con una
assoluta specificità di connessione morfo-funzionale punto per punto.
[6] Edelman concepì un ambito disciplinare
da lui definito delle “Scienze del Riconoscimento” in cui includeva l’immunologia,
la neurobiologia e tutte le branche di studio biologico dei processi di
selezione secondo i criteri evoluzionistici.
[7] In particolare, questo mollusco
ha 168 geni e quasi i tre quarti di essi sono associati a blocchi, con due cluster
principali da 31 e 17 geni.